venerdì 31 maggio 2013

Francesco Petrarca e la sua musa ispiratrice

Il gatto. O lo ami o lo odi.
Opportunista e viziato questo animale da secoli è il coccolo delle nostre case dove per tradizione protegge  l’intimità domestica. E anche i poeti di gran fama ebbero in amore questo simpatico animale.


"Chiare, fresche et dolci acque, 
ove le belle membra pose 
colei che sola a me par donna..."

Così comincia uno dei sonetti più commoventi e romantici della letteratura italiana. 
Il "grande stilo" che lo compose fu Francesco Petrarca (1304-1374), figura essenziale della nostra cultura che, guarda caso, sapete da chi si faceva ispirare??? 

...Neanche a dirlo: da una gatta! 


Disposta in bella vista al pubblico, la gatta impagliata del Petrarca è uno delle attrazioni di Arquà Petrarca. Secondo la leggenda, quando il poeta spirò seduto sulla sedia da lettura, la sua inseparabile gatta ronfava sulle sue ginocchia.
 Alla faccia degli eruditi che consacravano gli ultimi minuti di vita del poeta nella lettura della sacra Bibbia o delle opere di sant’Agostino.

Ora, quella gatta spelacchiata e un poco inquietante rappresenta l’anima domestica della casa del Petrarca e secondo la tradizione locale protegge con il suo spirito la casa e il paese stesso.


Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 18/19 luglio 1374) è stato uno scrittore e poeta italiano. L'opera per cui Petrarca è universalmente noto è il Canzoniere. Di grande importanza è anche il Secretum, in cui Petrarca dialoga con Sant'Agostino alla presenza muta della Verità.

Alla fine del 1370 Petrarca, da Arquà, scriveva al fratello:

“Qui fra i colli Euganei, a non più di dieci miglia da Padova, mi sono costruito una casa piccola ma deliziosa, cinta da un oliveto e da una vigna, che danno quanto basta ad una famiglia numerosa, ma modesta.
E qui, benché ammalato, vivo pienamente tranquillo, lontano da ogni confusione, ansia e preoccupazione, passando il mio tempo a leggere e a scrivere”.

E nella Sala dei Giganti che si trova nella sede della Facoltà di Lettere a Padova, vi è un affresco d’autore anonimo del XIV sec. che ritrae proprio il poeta nello studio mentre, seduto alla scrivania e circondato dai libri, legge.

Acciambellato per terra davanti a lui, un gatto ronfa beatamente.

Di certo si tratta dell’amatissima micia del poeta, che con lui passò alla storia e alla quale vennero dedicati centinaia di studi, saggi e versi; persino il Tassoni nella “Secchia rapita” la cita ( nel canto VIII, 33-34):

…e ‘l bel colle d’Arquà poco in disparte,
che quinci il monte e quindi il pian vagheggia;
dove giace colui, ne le cui carte
l’alma fronda del sol lieta verdeggia,
e dove la sua gatta in secca spoglia
guarda da i topi ancor la dotta soglia.

Il perché della fama imperitura della felina è spiegato dalla geniale idea (dal punto di vista pubblicitario)  che ebbe Girolamo Gabrielli, uno dei tanti curatori-proprietari di quella casa alla fine del ’500, quando già era meta di turisti letterati.



Egli, fra gli arredi personali del poeta, fece porre una gatta imbalsamata racchiusa in una teca di vetro; sotto, una lapide, la cui iscrizione latina - opera di Antonio Querenghi (1547–1634) - recita:

« Etruscus gemino vates ardebat amore:
Maximus ignis ego; Laura secundus erat.
Quid rides? divinæ illam si gratia formæ,
Me dignam eximio fecit amante fides.
Si numeros geniumque sacris dedit illa libellis
Causa ego ne sævis muribus esca forent.
Arcebam sacro vivens à limine mures,
Ne domini exitio scripta diserta forent;
Incutio trepidis eadem defuncta pavorem,
Et viget exanimi in corpore prisca fides. »


“Il poeta toscano arse di un duplice amore: io ero la sua fiamma maggiore, Laura la seconda.
Perché ridi? Se lei la grazia della divina bellezza, me di tanto amante rese degna la fedeltà; se lei alle sacre carte diede i ritmi e l’ispirazione, io le difesi dai topi scellerati.
Quand’ero in vita tenevo lontani i topi dalla sacra soglia, perché non distruggessero gli scritti del mio padrone. E ora pur da morta li faccio tremare ancora di paura: nel mio petto esanime è sempre viva la fedeltà di un tempo.”



la teca di vetro


                        E’ ancora lì, quella gatta, per la gioia (un po’ macabra) dei curiosi.




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