venerdì 27 settembre 2013

La vita è Dolce con il Gatto Antistress






Le sorprese di una ricerca: non è vero che si affeziona solo alla casa, vuole cure come un bimbo
MIRELLA SERRI

E' il cane il miglior amico dell'uomo? Il luogo comune rischia di venire demolito da recenti osservazioni di scienziati e filosofi che spezzano una lancia in favore dell'altro animale domestico per eccellenza, il gatto.

Il primo pilastro del partito filo-fido è la convinzione che il cane si affezioni al padrone mentre il felino si legherebbe soprattutto alla casa che lo ospita.

Serge Ciccotti e Nicolas Guéguen, in «Cani, gatti e coccole. Come e perché gli amici a quattro zampe possono aiutare grandi e piccini» (Franco Angeli editore), spiegano che in realtà il micio ha come punto di riferimento affettivo non le pareti dell'abitazione ma proprio le persone che si prendono cura di lui: per dirla tutta, si comporta quasi come un bambino.
I due ricercatori, infatti, hanno studiato i comportamenti di gatti di razze diverse, da uno a sette anni di età, applicando il test chiamato «la strana situazione di Ainsworth», solitamente utilizzato per osservare le relazioni di attaccamento fra un «dispensatore di cure» (di norma un genitore) e un bimbo. Come il pargolo, anche l'amico baffuto è stato monitorato in una stanza nella quale entravano e uscivano, alternandosi, il suo «padrone» e uno sconosciuto. Risultato? Quando si trovavano assieme a un estraneo o erano da soli, i mici si mostravano più ansiosi e in allerta, maggiormente in movimento e in continua esplorazione dell'ambiente. Viceversa, in presenza della persona a loro nota si tranquillizzavano e non manifestavano angoscia, turbe da separazione o iperattività.

Ma è vero o no che il peggior nemico dei topi è anche il più indipendente degli animali di casa? Con il corollario che la sua autonomia impedirebbe uno stretto legame con gli umani? Ciccotti e Guéguen parlano di «duplice e ambivalente natura, di animale bisognoso di cure ma anche molto autosufficiente». Storicamente la sua grande autonomia ha procurato al felino tanti onori e altrettanti odi. Gli antichi egizi lo avevano elevato agli altari: quando ne moriva uno tutta la famiglia si radeva le sopracciglia in segno di lutto e per i «gatticidi» era prevista la pena di morte, magari mediante linciaggio.

Nel medioevo, invece, viene considerato un inviato del demonio e quindi perseguitato e bruciato sul rogo assieme alle streghe. Oggi la ricerca ha dimostrato che l'indipendenza gattesca è la peculiarità che rende il micio un ottimo compagno antistress.

Il cane fa bene alla salute fisica perché ci tiene in allenamento, costringendoci a passeggiate ed esercizi vari; il gatto fa bene alla psiche e risulta «adatto ad affiancare persone afflitte da depressione, nevrosi e psicosi», gli anziani soprattutto. I due saggisti hanno riscontrato questa realtà esaminando la salute di un centinaio di proprietari di gatti e confrontandola con quella di altrettante persone prive del compagno che fa le fusa.
Di queste proprietà tranquillizzanti sono stati convinti anche tanti grandi pensatori: si narra che Maometto fosse un tale amante dei gatti che un giorno arrivò a tagliarsi un lembo del mantello per non disturbare il felino che vi si era accovacciato sopra.

Anche i filosofi che hanno contribuito alla raccolta «Il gatto e la filosofia», a cura di Steven D. Hales (Angelo Colla editore), sostengono che l'amicizia gattesca nel mondo moderno sia più che mai lenitiva per le turbe e le ansie umane. Arrivando addirittura a sostenere che «il legame tra uomo e gatto si è rivelato qualcosa di più della tolleranza, più dell'amicizia, più del rapporto fra servo acchiappatopi e padrone fornitore di latte. Le considerazioni sulla nostra vita assieme ai gatti costituiscono una via di accesso naturale alla filosofia».

Forse Hales esagera: ma sembra proprio certo che il baffuto amico dell'uomo ha capacità taumaturgiche e antistress.

Fonte
http://www.lastampa.it/2011/07/21/societa/lazampa/la-vita-e-dolce-con-il-gatto-antistress-nDyx8Nxqlcf9LfH4MiDPCN/pagina.html

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