lunedì 14 gennaio 2013

Il Gatto e la Strega




          Racconto:Emiliano Sabadello

                                                                                               La strega e il gatto

Non tutti sanno che le streghe non sono tutte cattive, come le fate non sono tutte buone. Dipende dalle tradizioni e dal nostro animo. Anche i gatti sono molto differenti uno dall’altro. Una cosa che accomuna queste due creature è forse la sostanziale verità che alberga nei loro occhi, sia essa buona o malvagia. Altrettanto non può dirsi dell’essere umano.



Nel pentolone della vecchia strega bolliva qualche intruglio metafisico come ne aveva creati tanti. Stavolta, però, la questione era un po’ differente. Il suo mondo, in mezzo a quel boschetto niente male, l’aveva governato bene, con la giusta malvagità, senza troppe intrusioni e senza grossi colpi di coda. Ma la vecchiaia, si sa, fu voluta dagli dei come un male terribile. Un giorno la strega, già da un pezzo sul viale della senilità, decise di divertirsi con un gatto soriano che si aggirava spavaldo da quelle parti da qualche settimana. La strega, dai bellissimi occhi marroni, attirò il gatto con l’antico trucco della fame (trucco che funziona benissimo anche con gli umani, come sapeva benissimo De André) e lo prese con sé in casa. Dopo averlo guardato per bene in quei suoi occhi gialli, decise di combinargli un bello scherzetto: donargli la parola degli umani! Apparentemente, questo poteva apparire come uno scherzo di cattivo gusto: in realtà, così facendo, la strega aveva pensato di alleviare un po’ la sua solitudine. Infatti, il gatto poteva comunicare soltanto con lei in quel particolare modo, non con gli altri gatti né tantomeno con gli umani, che sarebbero corsi via da quello strano gatto che parlava come loro! Ma, come dicevo, la vecchiaia e l’obesità fecero il loro gioco: nel momento in cui l’intruglio doveva essere potenziato con le parole di fuoco, lei si addormentò, forse aiutata in questo dalla pancia che spingeva sul diaframma, e l’incantesimo rimase a metà. Il gatto, scaltro nella sua esistenza, non si diede alla fuga, ma aspettò pazientemente la fine del sonno della sua nuova carceriera: siccome l’attesa sembrava essere lunga, si sdraiò vicino al fuoco e dormì un pochino.
La strega dallo strano naso e dalle strane orbite si destò di soprassalto, guardando istintivamente dalla parte del gatto: il felino era ancora lì, quindi il gioco era riuscito. Contenta e per nulla preoccupata, la strega andò a prepararsi una bella cenetta, da dividere con il suo nuovo amico, con il quale avrebbe magari scambiato anche quattro piacevoli chiacchiere. Il gatto, sentendo il trambusto delle pentole, si svegliò anch’egli, miagolando nell’antico modo, ma subito accorgendosi che poteva miagolare anche in un modo nuovo. La voce gli uscì sicura e non troppo bassa di tono: non una voce troppo maschile ma pazienza, non si poteva avere tutto dall’esistenza. “Buongiorno”, disse alla strega. “Ciao bel micetto”, gli rispose con una strana allegria la vecchia, “ti va di mangiare con me?”. “Certo, tutti sanno che noi gatti appena ci svegliamo da un bel sonno abbiamo tanta fame e tanta sete”. “Bene, allora accomodati, tra qualche minuto la pappa sarà pronta”.
Pranzarono e chiacchierarono amabilmente: ogni tanto la strega vedeva negli occhi del gatto una strana lucentezza, ma probabilmente era la furbizia insita nell’animale a manifestarsi anche dopo l’incantesimo. La strega non si preoccupava troppo dei messaggi che il suo istinto per nulla sopito le inviava: lei aveva giocato le sue carte, e non intendeva certo rinunciare a quella compagnia per qualche barlume di animalità affiorante sulla superficie di quegli occhi così vivi. Ma il gatto dentro di sé covava la sorpresa finale.
L’occasione propizia non tardò molto ad arrivare. La strega, per quanto magica, era pur sempre un essere umano: il vino non le poteva restare indifferente. Si addormentò pesantemente ancora una volta sul divano. Il gatto si mise sopra la sua pancia e scrutò nei suoi profondi occhi marroni con tutta la luce gialla che promanava dai suoi. Quello che vide fu una vera sorpresa: la strega era stanca della sua vita, era stanca di correre per non arrivare mai, di morire ogni volta un po’ insieme alle sue vittime. Ma vide anche la sua malvagità sostanziale e decise che era stata saziata troppo a lungo. Una volta svegli, sarebbe di nuovo entrato in quegli occhi e li avrebbe spenti ed appiattiti per sempre.
La strega si svegliò sentendosi in pericolo. Il suo nuovo servo le stava sopra e miagolava nel modo dei gatti: servivano quindi due paroline per ravvivare l’incantesimo. Mentre pronunciava la frase ad hoc per quell’animale, sentì improvviso il vento dell’errore e della sconfitta. Le parole non facevano presa su quel gatto malefico che stava inspiegabilmente conficcando i suoi occhi lucenti nelle orbite sempre più dolorose della strega. Più andavano in profondità e più la strega sentiva inutili i propri sforzi per sopravvivere, nonostante tutto, nonostante la solitudine fosse ormai entrata dappertutto. Poi, come accade a chi è in punto di morte, capì tutto: la voce non troppo profonda, i modi gentili, la furbizia…aveva sbagliato incantesimo, il gatto era una gatta! Ormai i pensieri andavano via come gli ultimi biglietti di un concerto rock, sempre più sfumati, sempre più lontani, sempre più rotti. Mentre la strega si sentiva portata negli occhi della gatta, la sua tristezza e la sua solitudine finirono di colpo, lasciando spazio ad un po’ di giusto riposo.
La gatta aveva avuto ciò che voleva: vendicarsi di quella megera, profanandola nei suoi stessi occhi e riducendola ad un urlo soffocato dagli anni. Solo che mentre il processo andava compiendosi, era successo qualcosa di strano. La strega si era fatta calma, quasi contenta del suo trapasso, mentre lei, la gatta giusta e posata di qualche secondo prima, cominciava a sentire dentro di sé uno strano colore, come un bel marrone scuro, profondo ed intenso, pronto per l’uso, per essere riversato su qualche vittima scalciante ed urlante.


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